« Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.»
Ai tempi di Gesù, in seno alla tradizione ebraica era vigente l'attesa del pastore messianico che Dio aveva così promesso ad Israele: “Susciterò per loro (le mie pecore) un pastore che le pascerà, il mio servo Davide. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore” (Ez.34,23).
Dicendo “Io sono* il buon pastore”, Gesù pronuncia dunque delle parole che hanno il significato di una rivendicazione messianica... e con le quali Lui si identifica con la figura principale del racconto simbolico in cui ci troviamo.
Per scrivere l'aggettivo buon... l'evangelista fa qui uso del vocabolo greco “kalós”, che ha il significato di “bello” nel senso di “vero”, vale a dire “pienamente rispondente alla sua funzione” (e non invece nel senso della “bontà”, per esprimere la quale sarebbe stato adatto il termine greco “àghatos”).
Poi... passando di colpo ad esprimersi in terza persona, Gesù aggiunge che Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.
E' qui significativo osservare come... anziché impiegare il verbo greco dídomi, tradizionalmente usato nel Nuovo Testamento per designare la morte salvatrice di Gesù che “dà la sua vita” (Cfr. Mc 10,45)... Gv utilizza invece il verbo títhēmi, che attribuisce all'espressione dà la propria vita il significato di “rischiarla”, ovvero di “esporla al pericolo” per salvare le sue pecore... e non invece quello di “consegnarsi consapevolmente alla morte” per la salvezza delle stesse.
Incontreremo questo secondo significato nel prosieguo del brano (Cfr.Gv 10,17.18).
Segue: Gv 10,12-13
*Vedi nel glossario la voce "Io sono"