Glossario

Voci del Glossario:
Conoscenza; Discepoli; Discepolo che Gesù amava; Divinizzazione; Dualismo giovanneo; Escatologia attuale; Figlio dell'uomo; Giudei; Giudizio; Gloria; Glorificazione; Io sono; Inabitazione; Israele; Logos; Luce; Mondo; Ora; Paràclito; Parusia; Peccato; Segno; Ultimo giorno; Unigenito; Verità; Vita; Vita eterna;

Conoscenza
Diversamente dalla moderna accezione “intellettuale” del verbo Conoscere, in senso biblico Conoscere Dio non significa tanto capirne intellettualmente l'essenza, quanto invece praticare i suoi comandamenti “facendo esperienza” di Lui in un senso globale, che unisce in sé il pensare e l'agire del credente, e coinvolge anche la sua sfera affettiva.
La parola ebraica yada' (conoscere) indica infatti un rapporto tra due soggetti implicante un reciproco coinvolgimento, una comunione spirituale tra conoscente e conosciuto, per cui... solo per fare un esempio... dicendo che il popolo "va in rovina... per mancanza di conoscenza" di Dio (Os. 4,6 ss.) il profeta Osea si riferisce non ad una deficitaria teologia, bensì al difettoso rapporto personale che la gente del popolo ha instaurato con Dio.
Nel Nuovo Testamento questa accezione veterotestamentaria di conoscere segna un'evoluzione e, anche a causa dell'influenza esercitata dall'Ellenismo, l'aspetto intellettuale della conoscenza assume una maggiore importanza.
Ciò non toglie che l'evangelista Giovanni usi ancora la parola greca “gnoskein” nel significato ebraico di yada'... nel senso cioè di un soggetto che entra in un rapporto personale pieno di fiducia con un altro soggetto.
In sostanza, nel Quarto Vangelo “conoscenza” assume il significato di una fede che coinvolge interamente l'essere umano inglobando, oltre alla sua sfera intellettiva, anche la fiducia e l'amore... ben lungi, per esempio, dalla mera accettazione intellettuale di una dottrina.
Nell'evangelista Giovanni è dunque evidente il carattere esperienziale della conoscenza, che cresce insieme all'amore, e con esso forma una coppia nella quale i due elementi si arricchiscono reciprocamente.
Va allora da sé che per conoscere Dio si deve sceglierLo in modo totale, senza alcuna riserva, accogliendo pienamente il suo Verbo: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32)... “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3).
Discepoli
In questo Vangelo il termine “discepoli” designa tutti i credenti in Cristo (cfr. Gv 6,60; 8,12; 8,31)... distinti dai “discepoli di Mosè” (Cfr. Gv 9,27s.), come si auto-definivano gli Ebrei nel tardo giudaismo guidato dai Farisei.
Discepolo che Gesù amava
Una delle “figure” caratteristiche di questo Vangelo, è il discepolo che Gesù amava (cfr.13,23; 19,26; 20,2; 21,7.20.24), chiamato anche l' “altro discepolo” (20,2.8).
La denominazione discepolo che Gesù amava non va intesa nel senso di una umana preferenza di Gesù nei suoi confronti, quanto invece nel senso che l'amore divino di Gesù in favore dell'umanità intera... da Lui espresso nella sua incarnazione terrena volta a rivelare il Padre, nonché nella sua salvifica auto-immolazione... ha trovato nel discepolo che Gesù amava piena accoglienza.
Lui rappresenta dunque il modello di discepolo, perché in lui l’amore di Gesù è giunto pienamente “a destinazione”, venendo accolto senza alcuna umana reticenza.
La straordinarietà del  discepolo che Gesù amava è pertanto costituita dalla sua piena ricettività dell'amore donatogli da Gesù, e dal fatto di avere coerentemente risposto con la sua condotta di vita, che lo ha portato ad essere vicino a Lui, più di qualsiasi altro discepolo.
Pur se, appositamente, l'evangelista non ha voluto fornire elementi sufficienti per riconoscerlo con certezza, questo “discepolo innominato” fa pensare proprio alla figura dell'apostolo Giovanni, il figlio di Zebedeo che, in quanto autore di questo Vangelo, vuole tacere il suo nome.
Divinizzazione
« Nella teologia orientale, indica l'adozione soprannaturale dell'uomo, quindi la sua  partecipazione alla vita divina come conseguenza dell'incarnazione; ciò viene espresso già nell'assioma di Ireneo: "Il Figlio di Dio si è fatto figlio dell'uomo perché l'uomo diventasse figlio di Dio" (Contro le eresie, III, 19,1) ». (Dizionario del Cristianesimo, Supplemento a Jesus - marzo 2000 - Periodici San Paolo, Milano) 
Dualismo giovanneo
Il cosiddetto “dualismo giovanneo” è una delle peculiarità del quarto Vangelo, ed è espresso in un gran numero di contrasti e contrapposizioni, tra i quali per esempio:
* luce-tenebre (Cfr. Gv 1,5; 8,12; 12,46)
* cielo-terra (Cfr. Gv 3,31)
* lassù/alto-quaggiù/basso (Cfr. Gv 8,23)
* fede-incredulità spirito-carne (Cfr. Gv 3,6)
* vita (eterna)-morte (Cfr. Gv 3,36)
* di questo mondo-non di questo mondo (Cfr. Gv 8,23)
* verità-menzogna (Cfr. Gv 8,44s.)
* amore-odio (Cfr. “discorsi di addio”)
* schiavitù-libertà Dio-satana (Cfr. Gv 13-27)
Il dualismo giovanneo va inteso in un senso sostanzialmente etico: di fronte alla dualità che caratterizza la realtà, l'essere umano è chiamato a schierarsi scegliendo tra luce e tenebre, tra vita e morte, ecc...
Il dualismo giovanneo non è "neutro", bensì "ottimista", perché il Risorto è la Vita che ha vinto la morte, la Luce che ha vinto le tenebre.
Gesù dice infatti di Sé stesso: “Io ho vinto il mondo” (Gv 16,33).
Escatologia attuale
“Escatologia” è un termine usato nella teologia cristiana per sintetizzare le credenze in ciò che accadrà alla “fine dei tempi”.
Nel suo Vangelo Giovanni pone l'accento sulla presenza della salvezza già nell'attuale vita del credente, e gli studiosi hanno coniato l'espressione escatologia attuale (o “escatologia del presente”) per indicare questo suo peculiare messaggio teologico.
Poiché l'attesa futura di ogni cristiano può trovare compimento già adesso, grazie alla fede che lo porta ad essere in comunione con Cristo (e quindi con il Padre)... per ciascuno il momento del “giudizio” è anticipato al presente. Al riguardo, sono per esempio significativi questi passi : “Chi crede in lui (il Figlio unigenito) non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato” (Gv 3,18)... o anche “In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Gv 5,24).
Nell'ambito di un'accurata analisi di questo concetto teologico, uno dei massimi esperti mondiali di Gv, il professor Robert Kysar, scrive tra l'altro:
“Il quarto evangelista ha capito che il presente è gravido di possibilità e vorrebbe che i lettori fossero sensibili a queste possibilità e le realizzassero. La vita eterna? È già vostra, ora, quando vivete un nuovo tipo di esistenza sulla base della rivelazione di Dio in Cristo. La risurrezione? Essere nati ad una nuova vita come risultato della fede in Cristo significa vivere la risurrezione. State giudicando voi stessi dal tipo di risposta che date alla proclamazione dell'evangelo cristiano. La parusia? Cristo viene di nuovo quando voi credete in lui”. (“Giovanni, il Vangelo Indomabile”, Robert Kysar, Editore Claudiana, 2000, pag.164).
(vedi anche la voce "Prospettiva escatologica" nella pagina "Sentiero panoramico")
Figlio dell'uomo
Considerata nel suo significato letterale, l'espressione Figlio dell'uomo indica semplicemente un essere umano, ma nel libro profetico di Daniele essa viene riferita ad una figura misteriosa: “ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d'uomo (Dn 7,13). Si tratta qui di un personaggio di origine celeste, “il cui regno non sarà mai distrutto” e che porterà la salvezza ad Israele... venendo quasi equiparato a Dio.
Gesù dimostrò una predilezione per questa definizione, che teneva insieme il Suo aspetto umano con la Sua divinità... e poi, pur essendo un titolo messianico, era anche meno soggetto a fraintendimenti politici rispetto ad altre espressioni... come per esempio “Figlio di Davide”.
Giudei
Questo termine viene usato dall'evangelista con molti significati diversi, tra i quali, a titolo esemplificativo:
- le autorità religiose ebraiche ostili a Gesù (cf. 8,37-59...);
- i compatrioti di Gesù i cui riti sono spiegati ai lettori di origine non ebraica (cf.2,6.13; 18,20...);
- i membri del giudaismo in quanto distinti dai Samaritani e dai Gentili (cf. 4,9; 18,35);
- il popolo di Dio (Gv 4,22)
- gli abitanti della provincia di Giudea (Gv 19,31...);
Inoltre, in alcuni passaggi l'evangelista usa il termine giudei nel senso che poteva avere all'epoca della stesura del Vangelo (dopo il 70), a designare cioè i farisei che rappresentavano il giudaismo opposto al rivale cristianesimo (cf. 9, 22 con 12,42).
Giudizio
In questo Vangelo il Padre ha dato al Figlio il “potere di giudicare” (Gv 5,27) ... e tale giudizio va inteso come l'effetto immediato determinato dalla presenza di Cristo in mezzo agli uomini:
A partire dall'incarnazione del Verbo in Gesù, l'essere umano è infatti posto di fronte ad una alternativa:
Chi ascolta la Sua parola “ha la vita eterna” (Gv 5,24) nel senso che entra in comunione con la Vita eterna che il Padre ed anche il Figlio hanno in Sé stessi... e dunque “non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Gv 5,24).
Chi invece resta “incredulo” alla Parola del Figlio e, per conseguenza, rifiuta anche il Padre che Lo “ha mandato” (Gv 5,24), incorre nel giudizio… nel senso che si giudica da sé stesso, trasformando la sua momentanea condizione mortale nel suo perenne destino.
Si tratta dunque di un giudizio che è in realtà un auto-giudizio emesso dall'essere umano nei confronti di sé stesso, in funzione del modo in cui ciascuno utilizza la propria libertà di accettare oppure di rifiutare il Cristo (Gv 3,19-21)...  e che non va dunque in nessun modo confuso con la tradizionale idea giudaica (ripresa poi anche in ambito cristiano) del “giudizio” emesso da Dio nei confronti dell'essere umano (sia che venga inteso come come un giudizio immediato, decretato subito dopo la sua morte... sia che venga inteso come un giudizio “alla fine dei tempi”).
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Vedi anche la voce "Escatologia attuale".
Gloria
Il significato biblico del termine gloria può essere compreso a partire da un passaggio dell'Antico Testamento nel quale, presentandosi a Mosè con la celebre espressione “Io sono colui che sono” (Es.3,14), l'Eterno mantiene il Suo Nome velato di mistero, cosicché la Sua realtà trascendente si manifesti restando parzialmente celata. Infatti, quando Mosè dice a Dio “Mostrami la tua gloria”, la risposta è: “Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo!” (Es.33,18-20).
Il termine gloria può qui essere compreso come il “volto” del Dio personale, che si manifesta restando però velato, com'è confermato dalla stessa teofania del Sinai in cui “La gloria del Signore apparve nella nube”... (Es 16,10; 24,17).
Nella tradizione biblica l'uomo è dunque incapace di “vedere” il Dio assoluto e trascendente, ma può contemplare la sua gloria, cioè può riconoscere i segni, le opere e la potenza con le quali Egli manifesta lo splendore della sua presenza.
Grazie all'incarnazione del Verbo divino in Gesù di Nazareth... Gv ci dice che adesso la gloria di Dio risplende in Lui al punto che il Cristo annulla ogni distanza tra Dio e l'uomo.
Ora... coloro che contemplano la gloria divina nel Cristo incarnato... vedendo Lui vedono il “volto” di Dio. Infatti, di fronte per esempio alle parole "mostraci il Padre e ci basta" (Gv.14,8) con le quali Filippo esprime una richiesta che è frutto della sua mentalità ancora legata alla religiosità tradizionale, Gesù risponderà: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?” Chi ha visto me ha visto il Padre.” (Gv 14,8-9)
Glorificazione
In questo Vangelo la glorificazione di Cristo avviene in concomitanza con l'innalzamento di Gesù sulla croce durante la sua Pasqua di Resurrezione.... quando il Padre glorifica il Figlio che ha adempiuto fedelmente alla sua missione terrena.
Questo momento... della glorificazione di Cristo... viene richiamato in vari passaggi, quali per esempio: «Gesù rispose loro: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”» (Gv 12,23), «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te» (Gv 17,1)... e ancora: «Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17,4-5).
Io sono
In questo Vangelo l'espressione Io sono appare numerose volte sulla bocca di Gesù e, significativamente, Gv non la scrive nella forma del greco koinè (la lingua parlata dal popolo ed utilizzata per la stesura del Nuovo Testamento) che avrebbe comportato solo il termine “eimi”, cioè il verbo “sono” senza pronome personale.
L'evangelista scrive invece, in modo enfatico, “egō eimi”... cioè letteralmente Io sono... al fine di richiamare l'attenzione dei lettori.
Per comprendere il significato di questa formula, bisogna risalire al nome sacro di Dio rivelato a Mosè, ovvero “'ehyeh 'ăšer 'ehyeh” (Es 3,14). Una traduzione letterale di queste parole ebraiche è « Io sono colui che sono! » e... anche considerando come questa espressione sia poi ripresa nel prosieguo del versetto nella forma « Così dirai agli israeliti : "Io-Sono mi ha mandato a voi" »... appare evidente l'intento del quarto evangelista di far sì che il lettore del suo Vangelo riconosca... nell'espressione Io sono usata da Gesù... il nome sacro di Dio, YHWH, che nel Giudaismo non poteva essere direttamente pronunciato.
Gv
evidentemente sapeva che, dinnanzi a questo maestoso Io sono pronunciato da Gesù, i lettori cristiani di origine sia ellenistica che ebraica avrebbero pensato ad una rivelazione di Dio.
Tutte le volte che Gesù si presenta in questo modo, Lui sottolinea infatti la divinità della sua persona :
Per sette volte (il numero che biblicamente sta ad indicare la totalità) lo farà collegando questa formula ad un concetto/simbolo: “il pane della vita” (Gv 6,35.48.51)... “la luce del mondo” (Gv 8,12)“la porta” (Gv 10,7.9)“il buon pastore” (Gv 10,11.14)“la risurrezione e la vita” (Gv 11,25) ...“la via, la verità e la vita” (Gv 14,6)...“la vite vera” (Gv 15,1.5).
In altre occasioni, Gesù affermerà la sua dignità divina affermando unicamente Io sono (Gv 8,58; cfr. Gv 18,4-8 e anche Gv 4,26).
Inabitazione
Il termine inabitazione viene abitualmente usato per designare la formula di “immanenza reciproca” che in questo Vangelo appare più volte e che... mediante espressioni come “essere in” o “rimanere in”... indica sia la relazione divina tra il Padre e il Figlio, sia la relazione tra il Figlio e il credente, sia la comunione dei credenti con il Padre e il Figlio (cfr. Gv 6,56; Gv 10,38; Gv 14,10.20; Gv 15,4-7; Gv 17,21-23.26).
In tutti questi casi, si tratta di una relazione di “presenza interiore” nella quale le “persone” rimangono due, ma in una comunione così piena che le fa essere “uno”.
Questa formula di reciproca immanenza ha come suo “precedente” le veterotestamentarie formule di reciprocità relative all'Alleanza, come per esempio quella profetizzata da Geremia: “porrò la mia Legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo" (Ger 31,33)
Andando oltre questo e altri annunci profetici della reciprocità tra Dio ed Israele (per es.Ez 36,26s), il Gesù giovanneo non solo esprime la possibile ed auspicabile comunione del discepolo con Lui, ma individua il fondamento di questa reciprocità nella relazione che unisce Lui al Padre.
Detto in altri termini... la relazione Padre/Figlio si sostanzia nel Padre che fa vivere il Figlio che ha inviato... e la relazione Figlio/credente si sostanzia nel Figlio che fa vivere il credente che si nutre di Lui (cfr. Gv 6,51c-58).
La relazione di reciproca immanenza che si stabilisce tra il Figlio e il credente non può dunque essere dissociata dalla relazione che unisce il Padre e il Figlio. Conseguentemente, è il Figlio a trovarsi al centro della relazione che si instaura anche tra il credente ed il Padre (cfr. Gv 14,6).
Israele
In questo Vangelo il termine Israele ha sempre una connotazione positiva, in quanto popolo eletto da Dio, che ha ricevuto la rivelazione e le promesse divine, e di cui il Messia dev’essere il re.
Invece... il termine “Giudei” viene usato dall'evangelista con accezioni diverse, ma sovente negative.
Logos
La definizione di Gesù Cristo quale “Lógos” (Verbo) è caratteristica del Prologo del Vangelo di Giovanni (e compare poi nella Prima lettera di Giovanni (1 Gv.1,1) e nell'Apocalisse (Ap.19,13), cioè in altri testi della tradizione giovannea)… mentre è assente dalla tradizione sinottica.
Questo vocabolo, Lógos, filosoficamente ha il significato di “parola” intesa quale espressione del pensiero, ma anche di “pensiero” inteso come progetto, idea protesa verso la sua realizzazione.
Usando il termine Lógos, Giovanni ricorre al linguaggio filosofico per indicare il Cristo preesistente, co-eterno al Padre...  e così porta nel Nuovo Testamento la cristologia più alta, in relazione alla Divinità di Gesù Cristo.
La “portata” di questa novità costituita dal Lógos giovanneo, può essere compresa tenendo conto che in senso filosofico il termine Lógos era concepito nello stoicismo come una specie di ragione cosmica che dava ordine all'universo spiegandone la struttura ed il funzionamento e distribuendosi in parti infinitesimali anche in ogni persona... ricollegando così ogni individuo al cosmo stesso, oltre che all'intera umanità.
In senso religioso, il Lógos si ricollegava invece all'ebraica Dabar Yahvè, cioè alla Parola di Dio che aveva portato ogni cosa all'esistenza (Gen.1), nonché al conseguente concetto giudaico di Sapienza divina... che nel tardo giudaismo, a cavallo con l'era cristiana, fu portata essa stessa su un piano di Personificazione divina... ad anticipare dunque la “Persona” Cristo.
Pertanto... applicando quest'ampia categoria filosofico-religiosa del Lógos a Gesù, Gv Lo presenta come il compimento... nella Sua Persona divina... di tutte queste concezioni: Lógos della tradizione stoica, Parola della Bibbia ebraica e Sapienza della riflessione giudaica”... vale a dire, in estrema sintesi, che “Cristo è la dimensione espressiva dell'Essere divino” ("Giovanni, il Vangelo Indomabile", Robert Kysar, Ed. Claudiana, 2000, p.51).
Ciò non significa che Dio sia compiutamente espresso nel Lógos, quanto invece che il significato dell'esistenza divina è manifestato nel Lógos quale espressione dell'Essere di Dio, Il quale ha manifestato questa sua dimensione cristica, che è la "parte" di Lui che puo' essere compresa dagli esseri umani.
P.S. - Per ulteriori approfondimenti, vedi anche:
- nell'introduzione al Vangelo: Il Logos giovanneo... "ponte" tra la tradizione biblica e la tradizione filosofica
- nella pagina Area di sosta: "Il Logos nel Prologo giovanneo", "Dal logos della filosofia... al Logos di Giovanni", "Cristologia giovannea del Logos", "Gli antecedenti del Logos giovanneo", "Il Logos in quanto Legge naturale"
- nella pagina Sentiero panoramico: "La preesistenza di Cristo" 
Luce
Quello della luce è uno dei temi caratteristici di Gv, e il quarto evangelista lo esprime con un’estensione ed una forza che non trovano riscontro in altri testi biblici.
Gv usa il termine luce in vari modi: talvolta lo riferisce a Dio che è sorgente della luce... mentre altre volte lo riferisce a Cristo, l’Inviato del Padre che è la Luce degli uomini” (Gv 1,4) i quali, uniti a Cristo, vivono anch'essi nella luce.
Nell’accezione che l’evangelista maggiormente sottolinea, la luce è Cristo in quanto Rivelazione di Dio. A tal riguardo, è per esempio celebre il passaggio nel quale Gesù si dichiara luce del mondo” (Gv 8,12) e, come si evince simbolicamente dal successivo miracolo del “cieco nato” (Cfr.Gv 9,1-41), si tratta della luce che “apre gli occhi” a coloro che accolgono la verità della sua divina rivelazione.
Ecco allora che la luce divina, che proviene dal Padre e sin dal principio dimora nel Verbo (Cfr. Gv 1,1-4), si irradia dal Verbo incarnato per “attirare” gli esseri umani a Sé... e dunque al Padre.
Cristo è luce che porta all’umanità la conoscenza di Dio… Lui è la luce della vita (Cfr. Gv 1,4), che si comunica a chiunque... accogliendoLa... vuol farsi guidare alla vita eterna.
Mondo
Normalmente il termine mondo (in greco kósmos) può indicare sia l'ambiente fisico in cui viviamo, sia l'umanità... e l'evangelista lo usa attribuendogli dei significati teologici specifici, e di volta in volta diversi.
Di rado Gv scrive mondo nel senso di “universo fisico” (cfr. 1,10b 16,21 17,5 e 17,24), mentre più di frequente in questo Vangelo il termine mondo assume l'accezione di umanità separata da Dio.
Nei vari casi può essere differente la reazione del mondo, cioè dell'umanità, all'opera di Cristo... compresa quella reazione di rifiuto che è espressa da quanti decidono di restare servitori del “principe di questo mondo”, ovvero di satana... ed è questo il motivo che porta Gesù a dire che quanti Lo seguono “non sono del mondo” (Gv 17,14.16).
Nella seconda parte del Vangelo, ed in particolare nei capitoli abitualmente definiti “discorsi di addio”, il dualismo “discepoli-mondo richiama il dualismo “luce-tenebre” sviluppato dall'evangelista nel Prologo. 
Ora
Nel Vangelo di Giovanni il punto culminante dell'esistenza di Gesù... il momento che costituisce lo scopo della Sua venuta nel mondo... è la Sua ora, cioè l'attimo della sua morte terrena, quando Lui dice: « "Tutto è compiuto"; e, chinato il capo, rese lo spirito » (Gv 19,30).
Questa ora... che ingloba in sé anche gli avvenimenti che l'hanno preparata e che ne sono seguiti... viene presentata da Gv come il momento della glorificazione di Cristo e, in una sorta di percorso di avvicinamento, essa viene nominata più volte nel corso del Vangelo (2,4; 7,30; 8,20; 12,23.27; 13,1; 17,1).
L' ora di Gesù è stabilita da Dio... e nessun fattore esterno alla Volontà divina può alterare la sua collocazione in un punto ben preciso della storia umana.
Nell' ora il tempo terreno si "interseca" con l'Eternità di Dio, e la morte viene sconfitta dalla Pasqua di resurrezione della Vita divina.
Paràclito
Paràcletos (che letteralmente significa “chiamato presso” e corrisponde al latino advocatus) è un termine greco che nel Quarto Vangelo designa lo Spirito Santo, e va inteso nel senso di Colui che è chiamato in aiuto per “difendere la propria causa”... pur se, in un'ulteriore accezione, viene tradizionalmente inteso anche come il “Consolatore”.
Gesù annuncia la missione dello Spirito Santo-Paràclito nei cosiddetti “discorsi di addio” (Capp.13-17), pronunciando cinque "promesse": Gv 14,16-17; Gv 14,26; Gv 15,26; 16,7-11; 16,13-15).
P.S. - Per ulteriori approfondimenti, nella pagina "Area di sosta" puoi consultare anche le voci:
"La missione del Paràclito",
"Paràclito, Parusia e Rivelazione",
Parusia
Nel Nuovo Testamento il termine greco parusia sta ad indicare la venuta di Gesù alla fine dei tempi, per instaurare il Regno di Dio. Si tratta dunque di un termine che ha un peculiare significato escatologico, in relazione all'attesa messianica del ritorno del Cristo.
P.S. - Per ulteriori approfondimenti, nella pagina "Aresa di sosta" puoi consultare anche la voce: "Paràclito, Parusia e Rivelazione",
  
Peccato
In questo Vangelo il termine peccato indica sostanzialmente il rifiuto cosciente della pienezza di Vita donata da Gesù. In questa prospettiva, commettono peccato quanti per esempio rispondono con incredulità alla proposta vitale di Cristo, o in qualsiasi modo si oppongono all'azione della Luce del Logos divino che ovunque nel mondo dissipa le tenebre del male. Invece... chi accoglie il Verbo divino viene “pulito” interiormente dal peccato, come per esempio Gesù annuncia quando dice “Voi siete già puri (in gr. “katharoi”), a causa della parola che vi ho annunciato” (Gv 15,3).
Ecco allora che la “catarsi” interiore coincide con quell'allontanamento dal peccato che si compie quando si accoglie il Cristo e ci si unisce a Lui entrando così in comunione anche con il Padre... ricevendo pertanto la salvezza della “vita eterna”.
In riferimento ad un passaggio molto celebre di questo Vangelo, in cui Gv definisce Gesù dicendo "Ecco l'agnello di Dio, Colui che toglie il peccato del mondo!", l'espressione "il peccato del mondo" non si riferisce ad una colpa delle origini (il cosiddetto “peccato originale”) e neanche a quei peccati individuali che, per esempio, nella tradizione sinottica Giovanni Battista chiama le persone a confessare... predicando la penitenza e la conversione.
Ben diversamente da questi concetti teologici, il peccato fondamentale di cui parla questo Vangelo è il rifiuto della “luce” divina del Verbo, incessantemente offerta ad ogni essere umano.
Per conseguenza Gesù viene sulla terra quale "agnello di Dio che toglie il peccato del mondo" nel senso che la Sua vita e la Sua morte “producono” la liberazione dal male e rimuovono ciò che è di ostacolo nel rapporto tra Dio e l'umanità, rivelando quella pienezza di Luce divina che pone fine al dominio terreno del peccato.
(Vedi la voce "Espiazione... e Purificazione" nella pagina Sentiero panoramico)
Segno
Il termine segno (in greco “semeion”) è usato da Gv per indicare i miracoli di Gesù, perché la loro funzione è, per l'appunto, quella di essere dei segni... cioè degli indicatori puntati verso un significato ulteriore.
In questo Vangelo, la narrazione dei principali segni compiuti da Gesù comprende due piani: quello in cui Lui risponde ai bisogni fisici delle persone (per esempio la salute e il cibo) e... più in profondità... quello in cui Lui risponde alle necessità spirituali simboleggiate dagli stessi bisogni fisici.
“Libro dei Segni é una comune denominazione della prima parte del Vangelo di Giovanni (Cap.1-12), all'interno della quale è possibile anche distinguere un “libro dei segni propriamente detto (Cap.2-4) , in cui le azioni miracolose compiute da Gesù fungono da adempimenti profetici della sua messianicità... ed un “libro delle opere” (Cap.5-12), in cui l'opera prodigiosa è un segno volto a rivelare la vera identità di Gesù, in quanto Figlio che è "Uno" con il Padre.
Ultimo giorno
Per comprendere cosa il Gesù giovanneo pensasse riguardo alla tradizionale idea giudaica della "risurrezione dei morti alla fine dei tempi", è utile ricordare il brano in cui Lui disse a Marta “Tuo fratello risusciterà” (Gv 11,23), e lei rispose "So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno" (Gv 11,24), perché lei ragionava conformemente alla concezione giudaica secondo la quale i giusti alla “fine dei tempi” sarebbero tornati in vita, uscendo così dalla “caverna sotterranea” dello she'ol.
Ebbene... Gesù smentisce questa concezione, dicendo a Marta “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11,25).
Nella visione teologica di Gv (vedi anche la voce “escatologia attuale” in questo glossario),  Cristo può infatti risuscitare alla vita, già nel presente, coloro che credono in Lui... contraddicendo dunque l'espressione ultimo giorno intesa nel suo significato tradizionale.
Per questo motivo, la lettura esegetica tende a considerare le espressioni ultimo giorno disseminate nel quarto Vangelo (cfr. Gv 6,39.40.44.54; 12,48) come delle  “redazioni a posteriori”, aggiunte al testo originale di Gv.
Senza entrare qui nel merito delle motivazioni di queste aggiunte, va poi rilevato che c'è anche chi ne dà una lettura "giovannea", come fa per esempio il biblista padre Alberto Maggi quando scrive: “L’ultimo giorno nel vangelo di Giovanni, che cadenza secondo il ritmo di una settimana il suo vangelo, è quello della morte di Gesù”*.  
* (http://www.studibiblici.it)
Unigenito
L'utilizzo, da parte dell'evangelista, del vocabolo unigenito (dal greco monogenēs, collegato dagli studiosi all'ebraico jāhîd, che può significare tanto "unico", "unigenito" quanto "prediletto")...  va compreso tenendo conto che nella Bibbia l'espressione “figlio di Dio” poteva designare anche degli esseri umani che facevano parte del popolo di Dio (Os 2,1), oppure il re dello stesso popolo (Sal 2,7; 2Sam 7,14) o, per esempio, anche un giusto perseguitato. Ecco allora che Gv utilizza monogenēs (unigenito) quale termine peculiare che designa il Verbo incarnato.
Verità
In questo Vangelo il termine “verità” (in greco “alétheia”) non va intesa nella sua accezione metafisica-razionale, propria della cultura ellenistica. Nel linguaggio giovanneo “verità” è la rivelazione del Padre, espressa nella Parola di Dio che Gesù porta nel mondo.
Vita
Il tema della Vita può essere riconosciuto come il filo conduttore seguito da Gv in questo suo Vangelo il quale, anche per questa sua caratteristica, si differenzia dai Sinottici.
Mentre in Mc, Mt e Lc la predicazione di Gesù ruota infatti attorno al "Regno di Dio" che Lui è venuto a portare sulla terra, Gv incentra tutta l'attenzione sulla “persona” stessa di Gesù che comunica agli esseri umani la Vita, intesa come l'insieme dei beni della salvezza che sono concessi fin da ora a quanti credono alle Sue parole, che “sono spirito e sono vita (Gv 6,63).
Questo fondamentale tema teologico viene sviluppato già a partire dal Prologo, nel quale il Logos... in cui sin dall'Eternità “era la vita ... dona la vita quale “luce degli uomini” (Gv 1,4). (Cfr. “Gv 1,3-4 Nota esegetica”).
Questa "luce", che la tradizione ebraica individuava esternamente nella Legge mosaica, in Gv si irradia invece dalla stessa interiorità dell'essere umano il quale, accogliendo il Verbo di Cristo, fa risplendere la “luce” della vita che ciascuno custodisce in sé. (Cfr. “Gv 1,9”)
Ecco allora che la vita (in greco "bios") intesa quale "esistenza naturale"... è il “segno” della vita spirituale” (Gv scrive in greco "zōē") che il Logos divino dona quale "relazione vivente" con Lui.
In questo senso, la guarigione donata da Cristo agli infermi sul piano della vita fisica (Cfr. per es. Gv 5,9), diventa un “segnale” rivolto al loro piano spirituale che... qualora essi rispondano con la fede... può ricevere fin da subito il dono ancora più prezioso della “Vita eterna”, intesa quale vita spirituale” di qualità divina, inattaccabile dalla morte (cfr. la voce Vita eterna” qui di seguito)
Vita eterna
In questo Vangelo la Vita eterna non è la vita post-mortem, bensì la vita di qualità divina alla quale si può accedere già durante l'esistenza terrena, dopo la conversione interiore che porta ad essere “generati di nuovo” (Gv 3,3) da Dio.
A differenza della “vita naturale” che ogni essere umano riceve in dono al momento della sua nascita in un corpo... la Vita eterna (indicata da Gv con il termine greco “Zōē”) è dunque donata dal Padre eterno a quanti entrano in comunione con Lui, aderendo al messaggio di Cristo: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo”. (Gv 17,3; Cfr. Gv.17,21)
In Gv la Vita eterna non è dunque tale nel senso di una sua infinita durata temporale (che è un concetto ancora legato alla limitatezza del tempo), bensì per la sua qualità eternamente divina che “non vedrà la morte in eterno” (Gv 8,51), secondo il concetto teologico tipicamente giovanneo definito dagli studiosi “escatologia attuale”, e che per esempio ritroviamo in queste parole di Gesù: “In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Gv 5,24).
(Vedi la voce “Escatologia attuale” in questo glossario)