« Io e il Padre siamo una cosa sola".»*
Con questa affermazione perentoria... che in una traduzione più fedele al testo originale greco dovrebbe peraltro essere scritta “Io (egō) e (kai) il (ho) Padre (Patēr) uno (hen) siamo (esmen)”*... Gesù non sta parlando di una generica “unione” con il Padre, ma sta invece dicendo che Lui è proprio uno... della stessa sostanza del Padre.
In questo modo, Gesù rivendica quella condizione divina che l’evangelista ha fatto emergere fin dal primissimo versetto del Vangelo… parlandoci del Verbo che fin dal principio “era presso Dio”... ed “era Dio” (cfr. Gv 1,1).
Questa unità tra il Verbo e Dio, è mantenuta nel Verbo incarnato in Gesù (cfr. Gv 1,14)... vero Dio oltre che vero uomo**… e questa indissolubile unione è una comunione che peraltro non diventa mai fusione, perché le due persone del Figlio e del Padre rimangono distinte.
** (Vedi anche la voce “Vero uomo e vero Dio” nella pagina "Sentiero panoramico")
Segue: Gv 10,31
P.S. - All’interno dei quattro Vangeli cosiddetti “canonici”, il Vangelo di Gv è quello che esprime la cristologia più alta in relazione alla divinità di Gesù, e dunque anche riguardo all’espressione “Figlio di Dio”.
Nella tradizione culturale giudaica l’espressione “figlio di Dio” era usata anche in riferimento agli esseri umani che, mediante l’obbedienza alla Volontà di Dio, potevano farsi suoi “figli”.
Invece, nella cultura ellenistica la “figliolanza divina” era un argomento di natura ontologica nel senso che, filosoficamente, l'espressione “Figlio di Dio” identificava colui che condivideva la natura di Dio.
In altri termini... mentre nella tradizione Ebraica il concetto di figliolanza divina era inteso in riferimento al comportamento di una persona... nell'ellenismo esso veniva inteso in riferimento all'essenza.
Entrambi questi significati sono inclusi nelle espressioni adottate dal quarto evangelista, che definisce Gesù quale Figlio dell’Eterno Padre sia in virtù della sua obbedienza (Gv 4,34)... sia nel senso che la sua essenza è la stessa del Padre (Gv 10,30).
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Al “settimo cielo”