« Gesù allora disse: "E' per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi".»
Gesù proclama qui con chiarezza qual’è la sua opera fra gli uomini: "E' per un giudizio che io sono venuto in questo mondo".
Come abbiamo già visto in precedenza (Gv 3,18-19; Gv 5,22-23), in questo Vangelo il suo giudizio* è determinato dalla sua presenza, a causa della quale ogni essere umano è in realtà chiamato ad esprimere un auto-giudizio su sé stesso, in relazione al fatto che accolga oppure rifiuti la Luce del Verbo.
Pertanto, Gesù estende a tutti coloro che non vedono il significato del segno appena compiuto nei confronti del cieco-nato, perché Lui è la “Luce del mondo” (Gv 8,12; Gv 9,5) che ridona la "vista" a tutti coloro che si rivolgono a Lui riconoscendo umilmente la propria umana “cecità”.
Al contempo, la sua presenza fa sì che quelli che vedono... cioè coloro che hanno la presunzione di fidarsi della loro limitatissima vista umana... diventino ciechi.
Gesù si riferisce qui a quanti... essendo “pieni” del loro sapere dottrinale... rimangono orgogliosamente ed ostinatamente refrattari al Suo messaggio e non capiscono i suoi segni*... restando come “accecati” dalla Luce della sua rivelazione.
Ecco allora che la distinzione tra coloro che effettivamente vedono e coloro che in realtà sono ciechi, è determinata dall'atteggiamento nei confronti della Luce irradiata dal Verbo divino.
Segue: Gv 9,40
*Vedi nel Glossario le voci:
"Giudizio"
"Segno"
P.S. - Nella teologia giovannea, il “Giudizio divino” non è una realtà da collocare nel futuro, ma è invece già presente nell’esistenza dell'essere umano, il quale ne “dichiara” il tenore mediante le scelte e le azioni concrete della sua vita.
In questo senso, il Giudizio divino va inteso come una “presa d'atto”, da parte di Dio, del modo in cui l'essere umano ha voluto orientare la propria libertà.