« Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.»
Poiché non è Dio che giudica l'essere umano (cfr.Gv 3,17), è in realtà l’essere umano che giudica sé stesso, e la discriminante tra la “salvezza” e la “condanna” è costituita dal credere, o meno, nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
Ecco allora che chi non crede è già stato condannato... nel senso che è lui stesso che si è auto-condannato rifiutandosi di credere all'amore del Padre, Il quale ha donato il suo Verbo divino affinché “il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17).
Si tratta, in sostanza, del fondamentale peccato di cui parla questo Vangelo... e nel presente brano la sua gravità è riferita al fatto che, con l'incarnazione di Gesù, la Luce del Logos divino si manifesta in un modo ancora più visibile rispetto a quanto già non fosse sin dall'alba dei tempi.
Per conseguenza, di fronte all'opera terrena del Verbo incarnato, che comunica Vita e Amore, l'essere umano è obbligato a schierarsi: o per l'accoglienza di Lui, o per il rifiuto*.
Pertanto il “giudizio” - che è causato dalla presenza di Cristo - è auto-espresso da ogni essere umano, che di fatto si giudica da solo:
Chi si dimostra “refrattario” alla Vita, mantenendosi costantemente in opposizione ad Essa mediante un rifiuto consapevole, decide autonomamente di restare in una condizione di morte, per cui la sua incredulità diventa la sua auto-condanna.
Viceversa, quanti credono nel Figlio dimostrano di credere nell'Amore divino rivelato... ed è a loro che Gesù si riferisce dicendo: Chi crede in lui (il Figlio unigenito) non è condannato.
In definitiva, mentre nel linguaggio biblico il verbo “giudicare” (usato da Gv, e qui tradotto con “condannare”) si riferisce al giudizio a cui ogni uomo sarà sottoposto “alla fine dei tempi” in relazione alla sua condotta sulla terra... in questo Vangelo Gesù ci dice invece che la salvezza della vita eterna, o il “giudizio” (di auto-condanna), non sono posticipati alla fine dei tempi, ma si realizzano nel presente e dipendono dalla risposta di fede data a Lui.
Segue: Gv 3,19
Vedi nel Glossario i termini:
"Giudizio"
"Logos" (Verbo)
"Luce"
"Peccato"
"Vita"
"Vita eterna"
* Approfondimento su Gv 3,18, in relazione al “Cristo-Vita”.
Per non equivocare il concetto espresso dal Gesù giovanneo in questo versetto - e cioè che l'essere umano si giudica da solo a seconda che scelga di rifiutare o di accogliere l'unigenito Figlio di Dio - è necessario tenere bene a mente ciò che l'evangelista ci ha già detto nel Prologo (cfr. lettura di Gv 1,12), e cioè che questa scelta - tra rifiuto ed accoglienza del Figlio di Dio - è una scelta analoga a quella che gli uomini hanno sempre avuto la possibilità di fare, anche prima della parentesi dell'esistenza terrena dell' unigenito Figlio di Dio che “si fece carne” (Gv 1,14).
Prima della nascita di Gesù, l'umanità ha infatti dovuto schierarsi pro o contro il Cristo in quanto Verbo disincarnato (il "Logos asarkos", cfr. Gv 1,12), che è Vita e Luce nell'ovunque di questa dimensione (Gv 1,4).
Pertanto, il concetto espresso in questo versetto va “universalizzato”, e va inteso come un “giudizio” che ogni essere umano di fatto emette su di sé, a seconda del proprio modo di relazionarsi al Cristo-Vita**, anche al di fuori dell'esistenza terrena di Gesù.
In sostanza, questo Vangelo ci dice che rifiutare il Verbo incarnato, cioè il Figlio dell’uomo (Gv 3,14) innalzato... o credere in Lui... significa manifestare una scelta analoga a quella che già i Giudei hanno potuto manifestare nei confronti della Luce del Verbo contenuta nelle loro Scritture Sacre... ma analoga anche alla scelta che, prima e dopo l'esistenza terrena di Gesù, ogni essere umano manifesta nei confronti del Cristo-Vita, diffuso nell'ovunque di questa dimensione.
Segue: Gv 3,19
** Piste di approfondimento (nel mio blog "Diario di un monaco"):
“Questione vitale”
“Cristo... Vita cosmica”