Gv 14,10-11

« Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere.
Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.»


A Filippo, che Gli ha richiesto una manifestazione del Padre (Cfr. Gv 14,8), Gesù dice: “Non credi che io sono nel Padre e il Padre in me?”... e con questo interrogativo mette in evidenza come sia unicamente grazie alla fede che il discepolo può riconoscere la vicendevole presenza di Lui, in quanto Figlio, nel Padre… e del Padre in Lui.
Questa perfetta unità* fa sì che le parole pronunciate da Gesù siano in realtà quelle che Lui ha “udito” (Gv 8,26) dal Padre, e che il Padre gli ha “ordinato” (Gv 12,49) di dire… e la reciproca immanenza di Padre e Figlio comporta anche il fatto che nell’operare di Gesù sia in realtà il Padre… che compie le sue opere.
Dicendo poi “Credete a me”, Gesù torna a rivolgersi a tutti i discepoli affinché, essendo ancora incapaci di credere pienamente alle sue parole, traggano motivo di fede se non altro dalle sue opere, che attestano la vicendevole compresenza ed immanenza di Figlio e Padre.
L’espressione “le opere stesse” va qui riferita ai grandi segni* compiuti da Gesù durante la sua vita pubblica, che Gli hanno reso testimonianza in quanto Inviato del Padre.

Segue: Gv 14,12

* Vedi nel Glossario le voci:
“Inabitazione”
“Segno”