Gv 19,28

« Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: "Ho sete".»

Dopo aver espresso alla Madre e al “discepolo che egli amava” la sua ultima volontà, con la quale implicitamente assicura anche ai futuri discepoli la maternità spirituale di Maria, Gesù si avvicina alla fine della sua vita terrena sapendo che ormai tutto era compiuto.
Come già aveva fatto più volte in precedenza (Cfr. Gv 1,47; 2,25; 6,61.64; 13,3; 18,4), l'evangelista sottolinea qui la prescienza di Gesù:
Il Cristo sa infatti di aver adempiuto alla missione per la quale il Padre L'ha inviato nel mondo e, nel descrivere questa realtà, Gv usa appositamente l'espressione greca “tetelestai” (era compiuto), ricorrendo cioè a quel verbo “teleo” (portare a termine) con il quale, in precedenza, aveva espresso il concetto del compimento dell'opera del Padre da parte di Gesù (Cfr. Gv 4,34; 5,36; 17,4).
Inoltre, il verbo greco teleo richiama anche la promessa che Gesù ha manifestato ai suoi discepoli, quando ha detto loro che li avrebbe amati “fino alla fine” (in greco “eis telos”) (Gv 13,1).
Questo è ciò che il Cristo ha fatto, con la piena consapevolezza di quali siano le conseguenze del suo dono d'amore fedelmente offerto all'umanità fino all'ultimo istante della sua vita terrena... fino all'espressione del suo testamento spirituale, nel quale L'abbiamo visto affidare il “discepolo amato” (e, con lui, anche i futuri discepoli) alla sua Divina Madre (Cfr. Lettura di Gv 19,27).
Adesso... affinché si compia la Scrittura... Gesù pronuncia la frase “Ho sete”.
Come stiamo per vedere, queste sue parole inducono infatti i soldati ad agire in conformità alle parole del Salmista: “quando avevo sete, mi hanno dato aceto” (Sal 69,22)... ma il compimento della Scrittura a cui Gv fa riferimento va anche al di là di questo specifico brano:
L'evangelista vuole infatti alludere alla realtà che ha accomunato i “Servitori di Dio” che hanno prefigurato Gesù, i quali hanno dovuto affrontare la sofferenza per portare a compimento l'opera del Signore... ma non solo...
La sete di Gesù fa trasparire anche un'allusione ad un concetto teologico già emerso nel corso del Vangelo, quando la sua “fame” e la sua “sete” hanno rappresentato la sua volontà di compiere la volontà del Padre, come quando ha detto “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere la sua opera” (Gv 4,34)... o anche “Il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?” (Gv 18,11).

Segue: Gv 19,29
   
Vero uomo, oltre che vero Dio

Come abbiamo visto negli ultimi due capitoli di questo Vangelo, Gv ha raccontato la Passione insistendo sul tema della regalità di Gesù, presentandoLo come Colui che è stato “elevato” sul “trono” della croce.
In questa sua linea teologica, il quarto evangelista non parla pertanto di Gesù come di una vittima sacrificale, bensì come dell'Inviato divino che è sempre pienamente a conoscenza di quanto sta per accaderGli e che, in ogni occasione, manifesta la sua sovrana padronanza degli avvenimenti.
Anche in questo passaggio... mentre nella tradizione sinottica gli evangelisti raccontano che a Gesù viene dato da bere... Gv scrive che è Lui stesso a prendere l'iniziativa, dicendo “Ho sete”.
Al di là degli altri significati teologici evidenziati in questa pagina, si tratta di una frase che letteralmente suona anche come la dichiarazione di una sofferenza umana intensa.
E' in questo senso che le parole “Ho sete” assolvono ad un'ulteriore funzione: ricordare la vera umanità di Gesù, a contrastare così l'idea che sarebbe stata poi sostenuta dalla corrente teologica docetista, secondo la quale la sofferenza del Cristo, vero Dio ma non vero uomo, era soltanto apparente.