Gv 3,36

« Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui".»

A differenza dell'Antica Alleanza stabilita da Dio con il popolo di Israele - nella quale la salvezza veniva messa in relazione con la fedeltà ai comandamenti della Legge - nella Nuova Alleanza, suggellata dall'incarnazione del Verbo, è chi crede nel Figlio (che) ha la (salvezza della) vita eterna.
Il Battista annuncia dunque che ai fini della salvezza l’unica “opera” necessaria è quella di credere in Gesù, mentre chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita.
Quest'ultima frase delinea uno scenario che, nella sua radicalità, non lascia spazio ad alternative: chi ha fede nel Figlio si salva, mentre per chi non ha fede l'ira di Dio rimane su di lui.
Pur se "ira" è un termine che anche la tradizione sinottica (Mc 3,7; Lc 3,7) pone sulle labbra del Battista, qui esso assume un significato che va rapportato specificamente al messaggio teologico di Gv, per il quale la vita eterna o, in alternativa, la “perdizione eterna”... non sono da intendere nel senso della ricompensa-paradiso o del castigo-inferno quali “luoghi” di destinazione dell'essere umano “alla fine dei tempi”, quanto invece come condizioni interiori.
Pertanto, l'ira di Dio di cui parla qui il Battista va intesa come il “giudizio” escatologico di Dio già operante nel presente* nei confronti di coloro che non credono nel Figlio.
In questa prospettiva, è l'incredulo che pronuncia da solo la sua condanna nel momento in cui si rifiuta di accogliere nella propria esistenza Colui che ha il potere di sottrarlo ai tentacoli del male (cfr. 3,19-21).
Al contrario... la  vita eterna è la realizzazione del proprio essere spirituale conseguita da quanti entrano nel “regno di Dio” nascendo “di nuovo” (Gv 3,3.5), ovvero entrando in piena comunione con Dio mediante il Figlio, perché “Chi crede in me – dirà più avanti Gesù – non crede in me ma in colui che mi ha mandato” (Gv 12,44).
Ecco dunque che questo credere - che unisce a Cristo e, attraverso di Lui, al Padre - comporta sin da subito la vita eterna, nel senso che la propria esistenza ascende ad una qualità divina che in quanto tale è già inserita nella “salvezza”*
Questo brano del Vangelo ci dice dunque che unirsi al Figlio, credendo in Lui, significa compiere già il passo decisivo, che permette di passare dalla morte alla "vita senza fine" (Cfr. Gv 5,24).

Vedi nel glossario le voci:
* "Escatologia attuale"
"Logos" (Verbo)
"Vita eterna"

Segue: Gesù dai Samaritani (Gv 4,1-42)

P.S. - La scelta categorica alla quale si riferisce qui Giovanni Battista, dicendo "chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita", va letta tenendo conto anche del messaggio teologico che l'evangelista ha iniziato a darci sin dal Prologo:
Oltre alle persone alle quali sono rivolte queste parole del Battista - ovvero i contemporanei di Gesù che si trovano nella condizione di accogliere o rifiutare la rivelazione da Lui portata - ci sono infatti anche tutte le persone che sono vissute o vivranno al di fuori della parentesi dell'incarnazione storica del Verbo in Gesù, per le quali la stessa scelta si ripropone, ma in termine diversi.
Come infatti l'evangelista ci ha già fatto capire in precedenza (Cfr, Gv 1,9: Gv 1,12)… coloro che si trovano al di fuori dell'annuncio cristiano, ma accolgono la “vita” e “luce” del Verbo (Gv 1,4-5) presente da sempre in questa dimensione e manifestatosi anche nella Scrittura di Israele... divengono “figli di Dio” (Gv 1,12), a condizione che sappiano assimilare la Sua Realtà soprannaturale nella propria esistenza**.

** Riguardo al concetto universale di salvezza riscontrabile in questo Vangelo, vedi anche le letture di:
- Gv 1,9 (vedi l'approfondimento "Il Logos che illumina ogni uomo")
- Gv 1,12
- Gv 3,15
- Gv 17,3

Segue: Gesù dai Samaritani (Gv 4,1-42)