« Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro.»
Con questa sua annotazione, l’evangelista fa capire di aver operato una scelta all’interno del gran numero di segni operato da Gesù, narrando soltanto quelli che lui ha ritenuto i più adatti per spiegare, ai lettori di questo suo Vangelo, la rivelazione divina manifestata da Cristo.
Segue: Gv 20,31
P.S. - In questo brano conclusivo Gv torna ad utilizzare il termine “segni” (in greco “sēmeia”), cioè il vocabolo che aveva caratterizzato la prima parte del suo Vangelo, usualmente chiamata, per l’appunto, “Libro dei segni” (Capp. 1-12).
Questa circostanza ci permette di rilevare come, nel messaggio teologico giovanneo, il rapporto del credente con i segni sia da interpretare in una duplice prospettiva:
Da un lato, il credente che ha ancora bisogno di un segno dimostra che la sua fede non è ancora giunta alla maturità palesata dai “beati” che sapranno credere anche senza avere visto (Cfr. Gv 20,29).
Dall’altro lato, però, è proprio attraverso i segni che il Cristo manifesta la sua divinità per cui, se correttamente intesi, tali segni rappresentano il provvidenziale mezzo attraverso il quale il credente può giungere alla pienezza della fede.
Nella teologia giovannea i segni sono propriamente dei simboli che hanno la funzione di rivelare l'identità e la missione di Gesù.
Infatti, a differenza delle narrazioni sinottiche nelle quali, in generale, la fede del credente è il presupposto necessario per la manifestazione della divina azione miracolosa... in questo Vangelo sono generalmente le opere miracolose di Gesù a costituire dei “messaggi” rivolti agli esseri umani, per sollecitarli a scoprire la natura divina di Colui che le compie.
Segue: Gv 20,31
Vedi nel Glossario la voce: “Segno”