Gv 21,24

« Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera.»

Il redattore di questo versetto si riferisce al discepolo che Gesù amava usando due tempi verbali diversi, ovvero dicendo che queste cose (il contenuto del Vangelo) tale discepolo le testimonia (presente) e le ha scritte (passato).
Con questo accorgimento viene evocato il fatto che il discepolo autore del Vangelo è morto, ma ciò che lui ha scritto in passato costituisce la sua “testimonianza ai posteri” che si perpetua nel presente della comunità cristiana e che spiega la frase di Gesù: “voglio che egli rimanga finché io venga” (come abbiamo visto nella lettura di Gv 21,23).
In effetti… al pari dell’incessante presenza nella comunità cristiana del Cristo Glorificato che ha vinto la morte… non verrà mai meno neanche la testimonianza che l’autore di questo Vangelo ha reso al Figlio unigenito (Gv 1,18)... ed è proprio della veridicità di tale testimonianza che si fa garante la comunità giovannea: “noi sappiamo che la sua testimonianza è vera”.

Segue: Gv 21,25